Un'icona di stile
Ritratto di Francesca Ruffini
Appassionata di libri, di seta e di fotografia, imprenditrice, responsabile della delegazione di Como della Fondazione Umberto Veronesi, Francesca Ruffini si definisce una persona di estrema sensibilità, una gran stakanovista, una guerriera.
Il racconto delle sue passioni, del suo lavoro, del suo impegno per la Fondazione è non solo estremamente piacevole e affascinante, ma trasmette tutta la determinazione, la dolcezza e la classe che contraddistinguono questa donna.
La nostra intervista inizia con una telefonata alle sette di sera, dopo una giornata di lavoro, appuntamenti e impegni che sono terminati da poco. Ringrazio per il tempo dedicatomi nonostante l’ora, racconto in breve cos’è il Good Living e mi viene spontaneo chiederle come lo interpreta lei: “Per me il Good Living è una regola di vita, una dimensione interna in cui sei felice di essere quello che sei e non vorresti essere nessun altro. Significa stare bene con sé stessi e riuscire a emozionarsi, ogni giorno, anche per le piccole cose; significa cogliere l’attimo e vivere i mille mondi che lo compongono. Significa stare bene con il proprio corpo, facendo attività fisica (io adoro il pilates e gli sport all’aperto come il nuoto e lo sci).
Sono estremamente sensibile di carattere e questo non è un pregio, anzi è un grande difetto, perché purtroppo si soffre molto anche per gli altri. Ma bisogna imparare che, laddove si sta bene con sé stessi, anche nelle sofferenze possiamo essere parte attiva per alleviare questo dolore”.
La moda, la creatività, l’eleganza sintetizzate nel brand F.R.S sono un’espressione del suo stare bene con sé stessa?
“Sì, sicuramente. A un certo punto della mia vita ho capito che avevo bisogno di uno spazio mio in cui non dovevo rispondere a nessuno se non a me stessa. In più avevo un’esigenza personale: un’insofferenza cutanea enorme di cui soffro fin da piccola – sono allergica a moltissime fibre e posso indossare a pelle solo cotone e seta – e il bisogno di vestirmi in modo comodo, sia in casa che fuori, tanto che fin da quando ero ragazzina ho cominciato a farmi fare dalla sarta una serie di capi personali eleganti ma allo stesso tempo che non pizzicavano, non costringevano, vestivano bene… fossero confortevoli, come i pigiami. Così, a cinquant’anni, ho deciso di lanciare il mio brand di capi roomwear, F.R.S – il mio monogramma e allo stesso tempo l’acronimo di “For Restless Sleepers” – inizialmente quasi per scherzo, senza contare su conoscenze o sul mio nome. Non immaginavo che sarebbe diventata qualcosa di più.
Certo, è un’azienda di nicchia, ma tale la voglio mantenere perché amo le cose fatte bene, i progetti piccoli, dove quello che racconti viene percepito nella sua essenza. La prima stagione mi sentivo un alieno sceso in terra, poi con il tempo mi sono creata un sistema, che io chiamo a chilometro zero, di stamperie, confezionisti e fornitori che sono molto flessibili anche sui piccoli numeri, come i miei. Del resto la zona in cui vivo aiuta: ho la possibilità di consultare gli splendidi archivi di tante aziende comasche storiche che conservano un vero e proprio patrimonio di disegni, tessuti, appunti scritti a mano. Io stessa sono una grande collezionista di libri: in ufficio ho una biblioteca di quasi 3 mila volumi figurativi che a un certo punto della mia vita ho deciso di organizzare e catalogare come una vera biblioteca e che continuo ad arricchire, comprandone almeno uno o due nuovi alla settimana. Una quindicina di anni fa ho acquistato anche la libreria di una stamperia centenaria comasca con libri antichi e rarissimi e ho ereditato la collezione di libri di mio suocero, altro grande lettore appassionato, che purtroppo è mancato due anni fa. A casa, invece, tengo i libri di lettura perché sono anche una lettrice accanita”.
Come nascono le sue collezioni?
“Il mio lavoro è un continuo sognare: non parto mai con un motivo preciso, da cosa nasce cosa, inizio il progetto, poi, vedendo visivamente il lavoro, mi vengono in mente altre idee. Chi mi vede nel mio open space in fase creativa, mi trova facilmente seduta per terra, circondata da carte, prove e disegni, e quasi si spaventa. Io invece mi trovo benissimo in quel disordine, o meglio in quel caos ordinatissimo”.
Che rapporto ha con i social?
“Di alcuni non so nemmeno l’esistenza. L’unico che utilizzo come una sorta di diario di vita personale, è Instagram. La fotografia è un’altra mia grande passione, ho una libreria di immagini con oltre 100mila foto, e durante il lockdown ho portato avanti l’attività proprio attraverso le immagini. Su Instagram mi piace riguardare le foto che ho pubblicato, ripensare al perché ho scelto proprio quell’immagine, in che momento è stata pubblicata. E adesso che finalmente si possono salvare anche le stories, mi riguardo anche quelle, di solito dedicate ai vari “mondi” che mi piacciono, dal cinema ai libri”.
Come vede la sua attività nel futuro più prossimo?
“L’azienda è piccolissima e voglio che rimanga tale, ma mi piacerebbe aprirmi all’esplorazione di altri mondi, ad esempio quello della casa, cominciando a lavorare a dei progetti sulla tavola e sull’apparecchiatura, per dare un mio contributo al momento della convivialità. Il ricevere in casa è senza dubbio un’altra occasione per stare bene con se stessi, nella casa in cui si vive e con le persone a cui si vuole bene”.
Com’è nato l’impegno con la Fondazione Veronesi?
“Fare del bene agli altri fa bene sicuramente anche a me e la collaborazione con la Fondazione è un altro spazio tutto mio, che porto avanti con grande impegno: dal 2013 dirigo la delegazione qui a Como con l’obiettivo non solo di raccogliere fondi ma soprattutto, seguendo la volontà del Professor Umberto, di fare divulgazione sul tema della prevenzione.
Per questo, da quando ho iniziato a seguire questo progetto, ho sempre cercato di creare qualcosa di diverso, che non fosse la classica cena di raccolta benefica dove in tanti partecipano ma pochi colgono l’aspetto più strettamente educativo dell’evento. Così ho pensato a un format – avendo studiato Economia e Commercio con indirizzo marketing ragiono spesso in quell’ottica – che potesse allo stesso tempo raccogliere fondi ma anche educare. Ogni anno organizzo una cena al Teatro Sociale di Como con uno chef stellato – abbiamo ospitato Gualtiero Marchesi, Davide Oldani, Carlo Cracco – che utilizza solo cibi amici della salute e cotture sane, con l’idea di sfatare il luogo comune che ciò che è sano non è buono.
Inoltre invito sempre dei testimonial, soprattutto del mondo dello sport, per parlare di prevenzione: credo, infatti, che le parole ascoltate dal vivo restino più impresse nel cuore e nella mente rispetto a un articolo letto di sfuggita su un giornale”.
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